venerdì 29 settembre 2006

:Sciopero:(???) diamo contenuto alla protesta

La speranza che finalmente gli Avvocati comincino a parlare un linguaggio sindacale ha fatto timidi passi. Ma la lettura della mozione dell’ultimo Congresso Forense, pur contenendo apprezzabili segni di migliore percezione dell’attività rivendicativa a favore della Categoria, appare ancora inquinata da un approccio “vecchio” ai problemi.
Troppi principi enunciati, poche proposte e richieste concrete, e spesso avanzate timidamente in maniera approssimativa e senza adeguata approfondita motivazione.
Per richiedere una piattaforma di trattativa è necessaria innanzi tutto un’analisi del mercato e della situazione in cui la categoria si trova ad operare.
Nella attuale realtà europea emergono esigenze, comportamenti e regole nuove alle quali è necessario adeguarsi per restare sul mercato.
- La difesa dei minimi, la lotta al patto di quota lite, il contrasto alla pubblicità professionale, la contrarietà alle associazioni professionali multidisciplinari mal si conciliano con la realtà che si presenta nel nuovo scenario internazionale in cui ampia è la presenza di Studi stranieri. Questi, con nuovi approcci alle modalità di prestazione dei servizi legali, impongono con forza la loro presenza sul mercato globale, di cui il nostro orticello è venuto a far parte.
Nell’immaginario collettivo la difesa di principi non più attuali può quindi apparire una lotta ad oltranza di veri o presunti privilegi acquisiti, snaturando il senso stesso della protesta e suscitando più antipatie che consensi.
- Nella mozione si fa menzione del ruolo del professionista-avvocato. Ma appare solo un accenno alla funzione sociale dell’Avvocatura il cui compiuto riconoscimento deve portare ad una richiesta forte di un’area di competenze da individuare come riservata ai giureconsulti perché è nell’interesse della collettività stessa che tali competenze vengano valorizzate, sia nella fase di difesa, che nella fase di prevenzione dei conflitti. Essenzialmente in queste due fasi va visto il ruolo dell’Avvocatura come categoria professionale capace di assicurare la legalità diffusa. Ma tale richiesta di riconoscimento di competenze riservate non è chiaramente espressa.
- Troppo timido, poi, l’accenno alla Magistratura onoraria. Se oltre il 50% dei nuovi processi civili ricade nella competenza dei giudici onorari, agli stessi va riconosciuta dignità ordinamentale con partecipazione ad ogni livello, anche di C.S.M., all’organizzazione della Magistratura con adeguata collocazione sistematica proprio nelle norme dell’ordinamento giudiziario. Per evitare che si attesti in un precariato sottopagato, nemico della migliore qualità, e diventi invece anche una fucina per la formazione e l’accesso di avvocati ai concorsi per nuovi Magistrati togati, arricchendone la categoria con persone che abbiano esperienza di vita e, quindi, migliori capacità di giudicarla.
- Ancora più timida la richiesta di una diminuzione dell’aliquota IVA sulle parcelle.
Il problema è molto più vasto e va inquadrato nel dovere dello Stato di rendere giustizia.
E da questo dovere, posto nell’interesse della collettività lo Stato non può trarne fonte di guadagno, rientrando nei suoi compiti essenziali.
Riguarda sia l’IVA, sia l’imposta di registro sugli atti giudiziari. Quest’ultima si riferisce ad atti che certamente non costituiscono un indice di capacità contributiva, richiesta per l’applicazione di imposte, né un servizio con controprestazione, presupposto per l’applicazione di una tassa, dato che il render giustizia appartiene ad uno degli obblighi fondamentali dello Stato, finalizzato all’attuazione di diritti soggettivi e controbilanciato dall’esistenza del divieto della giustizia privata, il cui esercizio costituisce solo e soltanto un dovere.
Non sono tanto visionario da non comprendere che in questo momento non ci sono le condizioni per ottenere una immediata e completa esenzione da IVA delle prestazioni svolte dall’Avvocatura, anche se la difesa della libertà o dei diritti civili non è da meno alla cura del raffreddore, attività esentata da imposizioni per la sua rilevanza sociale.
Ma il problema dell’imposizione tributaria sui servizi resi per la giustizia non può ulteriormente essere trascurato ed è dovere proprio dell’Avvocatura porlo nella sua interezza.
Il dibattito su tali argomenti si è già ampiamente sviluppato in altri paesi della stessa Comunità Europea (cfr. Francia e Germania).
Non è nuovo neppure in Italia. «La giustizia, standosi al rigore dei principii, esser debbe gratuita; è il primo e più sacro debito dell’autorità sociale». Così nel commentario Mancini-Pisanelli-Scialoia del codice di procedura civile per gli Stati sardi del 1855! Ed ancora in Riv. dir. finanz., 1937, 359, Einaudi ebbe a scrivere: «Come le spese della difesa nazionale e della sicurezza pubblica, la spesa della giustizia è tipica di quelle che debbono essere ripartite con l’imposta su tutti, perché non si conosce chi ne sia avvantaggiato in modo particolare e in quale misura ... Al litigante non è logico far pagare qualcosa (tassa, in qualunque modo congegnata, di bollo o di registro o altra) in aggiunta alle imposte che egli già pagò, come cittadino, per mettere in grado lo Stato di esercitare l’ufficio suo».
Pare invece rimasto un fatto episodico ed isolato l’obiettivo irrinunciabile della defiscalizzazione dei processi e la tendenziale gratuità della giustizia riaffermato (molto timidamente e senza sufficiente rilievo) nel documento conclusivo della conferenza nazionale dell’avvocatura italiana tenutasi a Pisa dal 4 al 6 dicembre 1998.
- Anche l’ordinamento professionale richiede che sia assicurata l’indipendenza dell’Avvocato dal Cliente, l’accesso mirato fin dall’inizio degli studi universitari. Mentre sul secondo punto vi è una chiara presa di posizione, l’altro problema non è affatto percepito. Sussistendo con l’attuale legge professionale l’incompatibilità dell’esercizio della professione con ogni forma di lavoro subordinato. Anche quando questo si svolge alle dipendenze di altro Avvocato o di associazioni di Avvocati. Ostacolando ogni possibilità per i Professionisti di investire in “menti” e crescere, come è consentito in altre realtà che da tali condizioni traggono vantaggio per crescere e schiacciare la concorrenza di chi non riesce ad approntare strutture adeguate alle nuove richieste del mercato. Aggiungasi che coniugando l’indipendenza dell’Avvocato dal Cliente con la necessità di individuare un’area di competenze professionali per gli iscritti all’albo vengono poste in discussioni categorie iscritte nel cosiddetto albo speciale, che non garantisce, con grave dubbio di legittimità, soprattutto l’indipendenza dell’attività di difesa processuale. Attività da affidare in tali casi all’Avvocatura dello Stato, che tale indipendenza meglio garantisce, nella quale potranno eventualmente trovare collocazione parte degli iscritti all’albo speciale.
- Restando nell’ambito dell’ordinamento professionale non si può sorvolare su una richiesta di ampliamento delle sfere di azione, anche nell’ottica del “cittadino consumatore” (oltre che per tutelare una categoria che ormai scoppia per numero). Se si vuole promuovere liberalizzazione perché non consentire all’Avvocato di autenticare la firma del proprio Cliente su un atto negoziale redatto per conto dello stesso?
- Questi aspetti non hanno una chiara individuazione nelle mozioni Congressuali.
Né forte coerente e prevalente presa di posizione nelle motivazioni dell’astensione.
E’ evidente che la Categoria tutta ne deve prima avere chiara consapevolezza per poter poi avanzare le sue rivendicazioni.
- Se tale consapevolezza manca è anche colpa di tutte le Associazioni adagiate su minimale partecipazione, stante la sproporzione tra numero di aderenti alle Associazioni e componenti una categoria che ha superato i 170.000 iscritti. Concentrandosi su una pur apprezzabile elaborazione sistematica finiscono per relegarsi in una sfera dalla quale non colgono, o non sanno cogliere, gli aspetti più mobilitanti, necessariamente concreti e più direttamente sentiti quali ostacoli dalla categoria. Conseguentemente non riescono ad acquisire un consenso diffuso che provochi anche partecipazione attiva.
E’, quindi, necessario che si svolga prima un migliore confronto all’interno della categoria tutta, perchè acquisti consapevolezza dei problemi, li senta “suoi” e si mobiliti per riaffermarli. Superando l’isolamento delle Associazioni con il diretto continuo e coordinato confronto tra le stesse. Poi è necessario proporre, con gradualità e non in maniera alluvionale, azioni concrete e possibili, che sappiano provocare la condivisione anche della collettività e, quindi, anche la mobilitazione di tutti.
Lo so. Sono vecchio (almeno anagraficamente) e mi ripeto.
Ma non è vana la ripetizione se produrrà consapevolezza e riflessione, almeno di uno.
Si svecchino almeno le idee, visto che, rivedendo la scarsa affluenza alle Assemblee, pare non si sia ancora riusciti a svecchiare chi le esprime.
Silvano Salani

martedì 26 settembre 2006

Idee chiare (e condivise) su come dovrà essere il futuro dell'avvocato

Raggiunto il traguardo di una mozione che vede d'accordo Cnf, Oua e Cassa forense. Riforma dell'ordinamento: ribadita la distinzione fra tutte le attività professionali e quelle d'impresa
Riforma dell'ordinamento professionale, l'Avvocatura sabato scorso durante il Congresso nazionale ha approvato una mozione condivisa dal Cnf, dall'Oua e dalla Cassa forense che traccia le linee guida da seguire nel processo di modernizzazione della professione legale (la mozione è qui leggibile nei documenti correlati).Gli avvocati, tuttavia, con una mozione politica finale hanno anche definito il calendario delle agitazioni e dato mandato all'Organismo politico di proclamare due settimane di sciopero cadenzate fino a dicembre. Il 12 ottobre prossimo l'Avvocatura si asterrà dalle udienze prendendo parte a Roma alla manifestazione unitaria di tutti i professionisti. Inoltre, lo sciopero proseguirà dal 13 al 18 novembre e dall'11 al 16 dicembre. Si prevedono, infine, ulteriori forme di protesta, secondo le modalità decise dagli ordini territoriali
Il Congresso ha anche invitato i legali a una grande assemblea di tutta l'Avvocatura che si terrà nella capitale il prossimo 16 dicembre. Gli avvocati chiedono quindi al Governo e al Parlamento di provvedere alla sospensione dell'efficacia di alcune norme del decreto Bersani, per il tempo strettamente necessario alla concertazione ed emanazione della legge di riforma degli ordinamenti professionali e di quello forense in particolare.La mozione di riforma dell'Ordinamento professionale. Quanto alla riforma dell'ordinamento professionale nella mozione approvata sabato scorso a grande maggioranza dai delegati, l'Avvocatura ha ribadito la distinzione fra tutte le attività professionali e quelle d'impresa, sottolineando la specificità, l'autonomia e l'indipendenza del legale, la cui funzione e il cui ruolo sono costituzionalmente rilevanti. E proprio per difendere queste specificità che sono a garanzia della libertà dei cittadini che l'Ordine forense deve continuare a esistere.La riforma delle professioni, che va approvata entro l'anno partendo dai progetti di legge già depositati in Parlamento, dovrà garantire il miglioramento della qualità professionale degli avvocati, intervenendo sulla struttura della facoltà di Giurisprudenza. Quanto alle specializzazioni e alle relative forme di pubblicità informativa, spetterà alla normativa professionale stabilirne le modalità di acquisizione e di mantenimento. In quest'ambito vanno previsti sistemi efficaci di formazione permanente. Il sistema delle tariffe va difeso, pur semplificandolo per renderlo meglio comprensibile ai cittadini, mantenendo anche i minimi obbligatori per le prestazioni relative alla difesa dei diritti e degli interessi. Per cui le tariffe minime devono essere considerate obbligatorie almeno fino a quando le controversie non saranno definite in sede europea.Quanto al cosiddetto patto di quota lite, "liberalizzato" dalla legge Bersani, il divieto dovrà essere conservato, soprattutto a tutela dei cittadini più deboli che non sono in grado di far valere le proprie ragioni. Tuttavia, nella proposta messa a punto dall'Avvocatura, questa preclusione potrebbe essere superata per alcune materie specifiche (famiglia), a condizione, però che i limiti siano precisi e le sanzioni severe. La pubblicità informativa sul servizio offerto e sui costi delle prestazioni, almeno in una fase iniziale, dovrebbe passare da un controllo preventivo del Consiglio dell'Ordine per verificare veridicità e correttezza dei messaggi. La mozione dell'Unione Triveneta. Il Congresso, inoltre, ha anche approvato la mozione presentata dall'Unione triveneta dei Consigli dell'ordine degli avvocati che, tra le altre cose, ha riaffermato "la piena legittimità della protesta fin qui portata avanti dagli Avvocati in ogni sua manifestazione a fronte della lesione dei valori essenziali, anche costituzionalmente tutelati, della Giustizia e della professione e ponendo fin d'ora in evidenza un programma di nuove forme di protesta da attuare in ipotesi di mancato preventivo confronto" (il documento è qui leggibile nei correlati allegati).Inoltre, il XXVIII Congresso nazionale forense ha approvato anche una raccomandazione dal tema "L'avvocato nella giurisdizione, oltre la giurisdizione" .Soddisfatto Bruno Sazzini, il segretario generale dell'Anf, per "la riaffermazione della centralità del Congresso, quale unico momento di determinazione della volontà dell'Avvocatura" e per la partecipazione ai lavori dell'Aiga ma anche per l'intervento del Presidente delle Camere penali, Ettore Randazzo.
Questo è quanto Diritto e Giustizia Pubblica sul Congresso di Roma
Io non posso dirmi soddisfatto
avv. Giuseppe Santo Barile

lunedì 25 settembre 2006

25000 euro a carico dell'avvocatura unita

25000 euro a carico di tutit gli avvocati è il risultato della delibera del CNF e degli ordini a seguito della quale l'OUA ha proclamato e promosso una astensione dalle udienze impropriamente chiamato SCIOPERO.
Tutti gli avvocati, così si sono giocati credibilità (il mancato rispetto delle norme incide sulla conoscenza delle stesse?) e sulla futura proposizione di ulteriori forme di manifestazione della volontà.
E allora facciamo come pochi avvocati hanno il coraggio di fare
Uniamoci, agitiamoci, ma RISPETTIAMO LA NORMATIVA!! Maurizio De Tilla ha avuto il coraggio e pochi altri lo hanno seguito INDOSSIAMO LA TOGA come segno di distinzione, di classe e di apparteneza.
Uniamoci coraggiosamente nelle aule e difendiamo la libertà dei nostri clienti che si esplicita attraverso la nostra azione congiunta.
URLIAMO in silenzio IN TOGA quotidianamente, rispettiamo la normativa e da domani mattiana APPLICHIAMO PEDISSEQUAMENTE IL CODICE DI RITO!!
Le uniche attività che dobbiamo svolgere sono quelle PER CUI è PREVISTA UNA VOCE NELLA TARIFFA promossa dal CNF e approvata dal MINISTRO, ormai scaduta e non rinnovata!!!!!
Avv. Giuseppe Santo Barile

venerdì 15 settembre 2006

LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI TRA REALTA’ E SUGGESTIONE

Molto è stato scritto sul decreto Bersani di liberalizzazione delle professioni, circa il metodo e il merito per cui non appare opportuno ripetere gli argomenti, quanto piuttosto tentare una riflessione che evidenzi come il decreto porterà di fatto, almeno per la professione forense, ad un risultato antitetico a quello che si intendeva perseguire.
Dispiace che questo provvedimento abbia le caratteristiche dell’esemplarità (cioè dell’atto con cui l’Esecutivo, nei primi 100 giorni, vuole dare un segnale di novità, specularmente a quanto fece il governo precedente il cui totem fu l’abolizione dell’imposta di successione) che non permette un dialogo ragionato, senza arroccamenti di segno opposto (nulla si cambia e nulla si discute).
Passiamo ad una rapida analisi dei punti di criticità e partiamo dall’abolizione della inderogabilità dei minimi di tariffa.
Se può apparire ragionevole l’affermazione che la sussistenza dei minimi di tariffa non è in sè segno di qualità della prestazione, è anche vero il contrario, e cioè che il minor prezzo in sè non permette l’identificabilità ex ante di una prestazione di qualità.
È difficile per la realtà professionale italiana, composta per la maggior parte da studi piccoli, come si ricava dal censimento ISTAT 2001 che indica in 600.000 le imprese attive nelle professioni prevalentemente con organizzazioni minime (445.000 su 600.000), sintetizzare nella mera esposizione del prezzo il costo necessitato per l’organizzazione dello studio (adeguamento alla privacy, investimento in tecnologia, ecc.) e per l’aggiornamento e la formazione continua.
Il vero limite della norma, però, consiste nella lesione del diritto di difesa, laddove, in materia giurisdizionale, si pone come oggettivo ostacolo all’accesso dei cittadini al processo, quindi alla tutela dei diritti, e, per altro aspetto, nella mancanza di garanzia per i non abbienti attraverso il gratuito patrocinio, ponendo così una questione di democrazia assai concreta.
In materia civile, infatti, il sistema è strutturato in modo che la parte vittoriosa, o il creditore, sia tenuto indenne, salvo motivata decisione contraria da parte del giudice, dalle spese di giustizia, rispondendo ciò, come più volte sostenuto dalla Cassazione, al dettato dell’art. 24 Costituzione.
Nell’assoluta mancanza di regolamentazione vi è il concreto pericolo che la Giustizia diventi privilegio di pochi per la possibilità di imporre al soccombente il pagamento di una parcella convenzionalmente stabilita tra l’Avvocato e il proprio rappresentato o, all’opposto, perché il Giudice, privo di riferimenti, liquidi una somma di molto inferiore a quella concordata tra la parte vittoriosa e il suo Avvocato.
Oltre a ciò si privilegiano i contraenti forti (banche, assicurazioni, grandi imprese, ecc.) che, utilizzando, come già parzialmente avviene ora (cosa nota!), avvocati convenzionati ai limiti inferiori di tariffa, possono permettersi resistenze giudiziarie strumentali nei confronti dei singoli cittadini che dovranno pagare quanto concordato con il proprio legale, aumentando così il proprio potere effettivo a scapito della collettività.
Occorre, pertanto, che almeno per le tariffe giudiziali vengano mantenuti i minimi, così da fornire all’Autorità giudiziaria i “binari”, secondo la definizione di Calamandrei, su cui indirizzare la scelta per un’equa parametrazione del costo di accesso e utilizzazione della Giustizia.
Questo corrisponde anche all’attualità di molti paesi europei, come in Francia e in Germania, mentre il richiamo all’Inghilterra è scorretto laddove non specfica la divisione delle funzioni tra solicitor e barrister: le regole più elastiche e liberali, come la possibilità di proporre assistenza legale nei supermercati, valgono per il primo, una sorta di consulente giuridico, ma non per il secondo, l’avvocato della difesa avanti alle Corti.
Appare, quindi, necessario che l’abrogazione dei minimi non riguardi le prestazioni giudiziarie degli avvocati per consentire al Giudice, al privato nel caso di recupero crediti o alla Pubblica Amministrazione l’indicazione esatta dei compensi spettanti per l’esercizio della difesa.
Lo stesso ragionamento è utilizzabile per il gratuito patrocinio, per garantire una prestazione dignitosa per gli assistiti e non un simulacro di difesa come avveniva nel passato per le difese d’ufficio gratuite.
Sempre che sia corretta l’interpretazione della norma in tal senso, appare inopportuna anche l’abrogazione del divieto del patto di quota lite che a tutt’oggi esiste tanto in Germania che in Francia.
Invero, il rischio della co-interessenza del difensore può essere a scapito dell’assistito perché allettato più dalla ricerca del tornaconto personale che dalla tutela integrale dei diritti della parte.
Se il divieto dovesse essere derogabile, andrebbe comunque contenuto nei limiti delle tariffe di cui sopra, in una misura percentuale massima prefissata, credito incedibile, con forma scritta obbligatoria.
Anche la pubblicità, se non accompagnata da una chiara indicazione dei limiti di carattere generale, può essere più un elemento di distorsione che di orientamento nella scelta del consumatore, per cui dovrebbero valere alcune indicazioni di minima come il divieto di nominare i clienti, di promettere risultati, di vantare specializzazioni non possedute o accertate, con modalità che siano pertinenti allo svolgimento della professione.
La sponsorizzazione di concerti, l’elencazione dei clienti, la presenza costante sui giornali sono forme anomale a cui assistiamo da parte di molti studi legali che si assumono prestigiosi, in ciò non censurati né richiamati, a quanto risulta, da nessuno al rispetto delle regole deontologiche.
Non è questo il corretto utilizzo della forma pubblicitaria.
Anche l’abrogazione del divieto di fornire servizi professionali di tipo interdisciplinare trova il limite nella specificità della professione forense, legata comunque a un obbligo di rispetto del segreto professionale e di rapporto fiduciario con il cliente che mal si concilia con le altre professioni che questi obblighi non hanno.
Molte altre misure, poi, che riguardano la parte anti-elusione ed evasione si assommano alla distorsione sopra provocata dalla cosiddetta liberalizzazione del decreto Bersani, rendendo ancora più concreto il pericolo di mancata fruizione dei cittadini della giustizia, elemento caratterizzante il tasso di democraticità di un sistema politico.
In breve sintesi: l’obbligo del conto professionale, che già in precedenza esisteva per i contribuenti che avessero scelto la contabilità ordinaria, appare un grazioso omaggio al sistema bancario, questo sì non concorrenziale e privo di trasparenza; l’obbligo di non ricevere i pagamenti in contanti non ha alcun effetto pratico (non si diventa virtuosi per decreto) e danneggia la parte di popolazione meno abbiente o precaria (si pensi agli irregolari, ai clandestini ecc.) che non ha la possibilità di usufruire dei servizi bancari; l’aumento indiscriminato e non proporzionato dei contributi a carico delle parti, con l’estensione della solidarietà nel pagamento ai difensori, è disincentivante per l’assunzione della difesa di soggetti economicamente deboli e presenta anche dubbi di costituzionalità ove siano coinvolti diritti fondamentali.
Si potrebbe continuare: la diminuzione delle spese di giustizia, l’inefficienza dell’apparato giudiziario, eccetera, sono tutti aspetti che vedono l’avvocatura creditrice nei confronti dello Stato, incapace di dare una risposta rapida certa e ragionevole.
E allora domandiamo se veramente la liberalizzazione evocata sia tale; se veramente vi è un disegno riformatore serio del sistema giustizia; se veramente la risposta è finalizzata alla tutela dei consumatori.
Per avere una vera riforma dobbiamo modificare l’ordinamento professionale, creando dei meccanismi che rendano effettivi la verifica della professionalità, della qualità e del rispetto delle regole deontologiche da parte dei Consigli degli Ordini, che, abbandonata ogni velleità di rappresentanza politica e di confusione dei ruoli, devono rispondere in termini di efficienza all’interesse pubblico.
Vi è anche un grande spazio per le associazioni, specialistiche e non, che, attraverso percorsi formativi e di aggiornamento, possano certificare la qualità degli aderenti, e così legittimino, senza costituire cartello d’impresa, un sistema tariffario convenzionale collegato a una prestazione di accertata qualità con metodi trasparenti e di preordinata informazione del cliente.
Ai Consigli degli Ordini rimarrebbe il compito di valutare la correttezza e la concretezza delle prospettazioni delle associazioni accreditate, introducendo un elemento di controllo a monte in una concorrenza che avverrebbe poi a valle, nella pluralità delle offerte certificate in favore dei cittadini
Così si riuscirebbe a coniugare una spinta alla liberalizzazione senza sacrificare il diritto di difesa e di accesso alla Giustizia.
Come prima cosa è necessario cominciare da una ricognizione all’interno della professione e a riconoscere le specificità, ad esempio, tra la mera attività di consulenza e la difesa tecnica in giudizio in qualsiasi sede, pubblica o privata, e da qui elaborare il grado di tutela necessario nei singoli ambiti per la collettività, con una diversificazione delle regole sulla pubblicità, sulle tariffe, sulla deontologia, ecc.
Una riforma meditata, quindi, con l’invito rivolto anche ai sostenitori della liberalizzazione come panacea di tutti i mali di essere scevri da pregiudizi ideologici, ma accostarsi alle ragioni delle professioni, in primis quella forense, con disponibilità al dialogo e la sensibilità attenta ai valori costituzionali coinvolti.
Avv. Bruno Sazzini
Segretario Generale ANF

giovedì 14 settembre 2006

Ordine Avvocati Bari assemblea 15 settembre

delibera del 26 luglio 2006 - Indetta assemblea degli Iscritti per il giorno 15 settembre 2006
Il consiglio nella seduta del 26 luglio 2006 ha deliberato di indire l'assemblea degli iscritti per il giorno 15 settembre 2006 ore 10.00, sala Consiglio dell'Ordine sul seguente ODG
INIZIATIVE CONSEGUENTI AD D.L. 223/20062.
CONGRESSO NAZIONALE FORENSE DI ROMA DEL 21-24 SETTEMBRE 2006:
proposte dell'Ordine di Bari
L'assenza alla assemblea equivale a ratifica dell'operato dei partecipanti.............
avv. Giuseppe Santo Barile

venerdì 8 settembre 2006

Astensione udienze settembre

La Giunta dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana,
richiamate
le proprie precedenti deliberazioni del 5 luglio 2006 e del 21 luglio 2006, con le quali è stata deliberata l’astensione dalle udienze civili, penali, amministrative e tributarie rispettivamente per i giorni dal 10 al 21 luglio 2006 e per i giorni 24, 25 e 28 luglio 2006, in segno di protesta in relazione ai provvedimenti introdotti con il D.l. 4 luglio 2006, n. 223;
premesso,
che l’Assemblea generale degli Ordini Forensi riunitasi in Roma il 21 luglio 2006 ha deliberato l’astensione anche per i giorni 18, 19, 20, 21 e 22 settembre 2006, in difetto di sviluppi che avessero tenuto adeguatamente conto delle ragioni manifestate dall’Avvocatura;
ritenuto
che il D.l. n. 223/06 è stato successivamente convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, con modificazioni ben lontane da quelle richieste ed attese dall’Avvocatura e comunque del tutto insoddisfacenti;
Ritenuto altresì
che, come emerso nell’Assemblea generale degli Ordini e delle Associazioni del 6 settembre 2006, si stanno moltiplicando iniziative assunte o preannunciate da esponenti di rilievo dell’attuale maggioranza di governo, connotate da una marginalizzazione ed uno svilimento della professione forense sempre più significativi, quali l’approvazione del regolamento di esecuzione del c.d. indennizzo diretto, la ripresa del progetto delle class actions, la pubblicazione della disciplina attuativa della normativa sulla conciliazione in materia societaria, nonché le minacce dell’autonomia e dell’indipendenza dell’apparato previdenziale forense;
preso atto
che nell’Assemblea generale degli Ordini e delle Associazioni del settembre 2006 è stata non solo ribadita la determinazione di riprendere le forme di protesta nei modi già individuati, ma è stato altresì deciso di protrarre l’astensione anche per il giorno 23 settembre 2006, al contempo reiterando le richieste e le iniziative volte alla più sollecita discussione ed approvazione della riforma delle professioni e dell’ordinamento professionale forense;
ritenuto
che occorre dunque procedere alla formale proclamazione della prosecuzione dello stato di agitazione dell’intera Avvocatura italiana e dell’astensione dalle udienze civili, penali, amministrative e tributarie per i giorni 18, 19, 20, 21, 22 e 23 settembre 2006, facendo naturalmente salva la trattazione degli affari civili, penali, amministrativi e tributari di cui agli artt. 4 e 5 della Regolamentazione citata;
delibera di proclamare
l’astensione dalle udienze civili, penali, amministrative e tributarie per i giorni 18, 19, 20, 21, 22 e 23 settembre 2006; è fatta salva la trattazione degli affari civili, penali, amministrativi e tributari di cui agli artt. 4 e 5 della Regolamentazione citata.

giovedì 7 settembre 2006

Decreto legge Bersani

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

Osservazioni sulla interpretazione e applicazione del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 (in G.U. n. 153 del 4 luglio 2006),coordinato con la l. di conversione 4 agosto 2006, n. 248 (in G.U. n. 186 dell’11 agosto 2006 – Suppl. Ord. n. 183) recante: «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale.».
1.Premessa.
La nuova disciplina – al di là delle sue connotazioni di politica istituzionale e di politica del diritto, oltre che di carattere strutturale che investono direttamente la nostra professione – involge aspetti civilistici e aspetti deontologici riguardanti tra l’altro la determinazione del compenso professionale, il patto di quota lite, la pubblicità informativa, le associazioni e le società professionali.
La nuova disciplina dovrebbe avere natura transitoria, tenendo conto di tre fattori:
(i) le prossime pronunce della Corte di Giustizia riguardante la legittimità delle tariffe obbligatorie quale compenso per l’attività stragiudiziale forense e la legittimità del divieto della libera negoziazione del compenso professionale forense;
(ii) l’eventuale pronuncia della Corte costituzionale, ove essa fosse investita della questione di costituzionalità dell’art. 1 della l. di conversione e dell’art. 2 del decreto legge in epigrafe;
(iii) l’esito del processo di riforma della disciplina forense, che si avvierà con la ripresa autunnale dinanzi alle Camere,con gli esponenti governativi , anche sulla base degli esiti del Congresso di Roma.
Poiché è lecito ritenere che i tempi delle vicende sub (i),(ii),(iii) saranno tendenzialmente lunghi, occorre riflettere sulle questioni interpretative e applicative della disciplina entrata in vigore nel testo convertito.
2. Norme legislative e norme deontologiche
La premessa dell’analisi muove da un presupposto fondamentale: la coesistenza di norme di legge e di norme deontologiche; le norme di legge possono abrogare norme deontologiche (come quelle forensi) aventi natura di norme primarie, ma di origine consuetudinaria; in ogni caso, anche se si potesse sostenere la loro equiparazione totale, si dovrebbe applicare il principio della posteriorità della nuova disciplina rispetto alla normativa deontologica ( che data, nella sua ultima versione, dal 27 gennaio 2006). Le due categorie di norme non sono però tra loro sovrapponibili, in quanto la legge ordinaria, come quella in esame, ha effetti erga omnes, mentre le norme deontologiche riguardano soltanto i soggetti esercenti l’attività professionale forense. In più, le norme deontologiche, per loro natura, possono essere più restrittive delle norme ordinarie, in quanto riflettono valori etici il cui ambito di applicazione può essere più ampio di quello della norma ordinaria. .... (continua su) http://www.consiglionazionaleforense.it/files/4027/C-22%202006.pdf