martedì 24 aprile 2007

Riceviamo dall'avv. Gioacchino Bàrbera e pubblichiamo il seguente intervento

Udienza collegiale della Corte di appello civile. I giudici entrano con oltre tre quarti d'ora di ritardo. Naturalmente, senza chiedere scusa. Non sono tenuti a farlo. L’Ordinamento giudiziario non lo prevede.
Ruolo di oltre sessanta cause. In una stanza che potrebbe contenere non più di venti persone si ammassano almeno 80 avvocati che sgomitano fra loro per avvicinarsi allo scranno dietro cui siedono comodamente cinque giudici, con tanto di toga. Manca l'aria per respirare. Le cause vengono chiamate dal cancelliere, ma non si riesce a sentire il nome delle parti. Il cancelliere alza il tono della voce: per fortuna è un baritono.
Mi avvicino allo scranno e chiedo al Presidente di fare qualcosa affinché l’udienza con si svolga in quel modo, almeno per rispetto verso gli avvocati che somigliano sempre più a pecore in un gregge. Il presidente mi chiede: cosa si dovrebbe fare secondo lei? Rispondo che sarebbe sufficiente suddividere il ruolo in due fasce, in modo che entrino in aula soltanto gli avvocati interessati alle prime trenta cause da chiamare e che gli altri attendano che l’aula si svuoti passeggiando per i bellissimi, ampi corridoi del terzo e quarto piano del palazzo di giustizia; oppure utilizzare l'aula magna, almeno venti volte più grande. Risposta: sono gli avvocati che debbono autoregolamentarsi; grazie a lei abbiamo perso altro tempo. Non gli rispondo come meriterebbe, solo perché finirei in carcere.
Naturalmente, nessuno delle decine di avvocati presenti interviene per darmi una mano. Resto completamente isolato. Soltanto fuori dall’aula due o tre avvocati mi si avvicinano per complimentarsi. Che bello!
Udienza collegiale della Corte di appello di Bari. Presenti non meno di 40 avvocati. Le cause vengono chiamate una alla volta, in ordine di ruolo. In alcune di queste si deve discutere una richiesta di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza impugnata. La prima discussione dura poco, circa cinque minuti. La seconda circa dieci minuti. La terza più di un quarto d'ora. Nel frattempo almeno trenta avvocati attendono di poter dire solo tre parole: rinvio per conclusioni. Mi avvicino al solito scranno e dico al Presidente: scusi, perchè le cause in cui si deve discutere una sospensiva non vengono trattate alla fine dell'udienza, per far sì che almeno trenta avvocati siano "liberati" in dieci minuti. Risposta: non ci avevo pensato. Inutile dire che nessuno degli avvocati interviene.
Tribunale civile, aule affollate all'inverosimile. Molti avvocati sono costretti ad urlare il nome del difensore dell'altra parte per riuscire a rintracciare il fascicolo che non trovano. Sembra di stare in un mercato del pesce, anche per gli inesorabili effluvi che, specialmente d’estate, emanano decine di ascelle mal lavate. Squillano intanto i cellulari. Si sente di tutto: dal commento di una partita di calcio al nome del ristorante o della pizzeria dove trovarsi la sera per mangiare qualcosa, all’indirizzo del negozio che vende aggeggi elettronici.

Ora inizio udienze: 9,30. La maggior parte dei giudici entra in aula con oltre un'ora di ritardo, non meno di quaranta avvocati stanno lì a perdere tempo. Un avvocato mi dice: sai perchè il giudice è arrivato in ritardo? Perché è andato a giocare a tennis. L'ho visto io.
I giudici possono invocare soltanto una “giustificazione” che in realtà non lo è. Gli avvocati non sono da meno. Arrivano anche loro con comodo. E allora perché perdere inutilmente tempo, seduti in aule semideserte?
Soltanto un giudice che tutti conosciamo è riuscito a governare l’udienza in modo decente. Per farlo ha dovuto usare le maniere forti, ovviamente “odiato“ dalla stragrande maggioranza degli avvocati e guardato di malocchio da pressoché tutti i suoi colleghi.
Un altro giudice che tutti conosciamo perché non fa nulla per decidere le cause quanto prima possibile e che per tante ragioni avrebbe dovuto essere buttato fuori dalla magistratura è riuscito ad accumulare un ruolo mostruoso. Cosa fare? Il presidente della sezione inventa un abile stratagemma: lo scambio del ruolo di cause fra due giudici.
Alt. Non nascondiamoci dietro un dito. Gli avvocati hanno gravissime responsabilità per ciò che accade. Entrano in aula e gettano le loro cartelle sui tavoli su cui stanno i fascicoli, occupando così in un attimo anche quegli insufficienti spazi che servono per scrivere un verbale di causa. Solo quattro o cinque poggiano le cartelle sul davanzale della finestra o per terra, in un angolo.
Gli avvocati con cui parlo per discutere di queste “inezie” mi rispondono all’unisono: è il Consiglio dell’Ordine che deve fare qualcosa. Dimostrando così di non sapere e di non capire che i Consigli dell’Ordine sono organi istituzionali che non possono svolgere le funzioni delle associazioni di categoria. E cosa fanno le nostre associazioni di categoria? Sono capaci soltanto di organizzare bellissimi corsi di lezioni su questo o quell’argomento o di vendere tesserini per usare le macchine fotocopiatrici.
Nessun intervento per porre un freno a questo decadimento. E perché? Perché non sono altro che lo specchio della nostra misera categoria. Ciascuno di noi aspetta che qualcun altro si muova. Responsabili sono sempre gli altri. Come quando ci si soffia il naso e si getta il fazzolettino di carta per terra: se l’indomani è ancora lì la colpa è di chi non pulisce le strade.
Gli avvocati sanno soltanto chinare la testa e subire. La tirano su solamente quando, prima o poi, fanno un viaggio alle Canarie e guardano splendere il sole.
Una categoria che ha perso da ormai troppo tempo qualsiasi dignità e rispetto per sé stessa. Masse di avvocati che sono tali solamente perché il loro nome compare nell’Albo e considerano la professione di avvocato solo un mezzo per far soldi.
In questo fango tutti affondiamo ed affonderemo sempre più. Soprattutto i giovani che hanno dinanzi a loro decine di anni di professione. Gli avvocati “anziani” li usano come segretarie, con il vantaggio di non dover pagare stipendi e contributi previdenziali; li fanno girare per le cancellerie alla caccia di fascicoli, per attendere pazientemente in lunghe file di fare qualche fotocopia, per depositare atti e ritirare le copie delle comparse delle controparti.
I più “fortunati” vengono spediti in udienza senza conoscere la causa da trattare. Seguono le scarne istruzioni che vengono date loro dai titolari degli studi che non sanno oppure hanno ben presto dimenticato che hanno il dovere di insegnar ai giovani come svolgere il “mestiere” di avvocato.
Molto altro vi sarebbe da dire e raccontare, ma non posso scrivere da solo un volume di duecento pagine.
Come mi è stato suggerito da un giudice che merita stima e rispetto, presenterò al Consiglio giudiziario una “Nota di doglianza”. Spero di non essere l’unico a firmarla.

Gioacchino Bàrbera


P.S. A séguito di questo mio intervento due magistrati baresi che meritano –- come tanti altri – stima e rispetto (ed è ora che gli avvocati la smettano di “fare di ogni erba un fascio” perché in tal modo da un canto denigrano senza alcun motivo il lavoro dei magistrati che compiono il loro dovere; dall’altro fanno soltanto un favore ai magistrati che non meritano di essere qualificati tali e che devono perciò essere e sentirsi isolati), a segnalare episodi simili a quelli innanzi descritti affinché siano adottati gli opportuni provvedimenti. Analoghe sollecitazioni ho avuto da ambienti del Ministero della giustizia. Ovviamente non posso e, soprattutto, non voglio fare tutto da solo. Invito perciò i praticanti e gli avvocati a segnalarmeli. Posso assicurare (senza andare a “Porta a porta”) sul mio onore di uomo, prima ancora che di avvocato, che il loro nome sarà conosciuto soltanto da me. I colleghi che vorranno farlo mi possono contattare direttamente, ovvero telefonarmi (nel pomeriggio: 080 553.84.74) per incontrarci in tribunale o altrove (magari in un bar, dove potranno pagarmi cappuccino e cornetto) o – ancora – inviarmi un messaggio (avvbarberag@tele2.it).

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