venerdì 29 settembre 2006

:Sciopero:(???) diamo contenuto alla protesta

La speranza che finalmente gli Avvocati comincino a parlare un linguaggio sindacale ha fatto timidi passi. Ma la lettura della mozione dell’ultimo Congresso Forense, pur contenendo apprezzabili segni di migliore percezione dell’attività rivendicativa a favore della Categoria, appare ancora inquinata da un approccio “vecchio” ai problemi.
Troppi principi enunciati, poche proposte e richieste concrete, e spesso avanzate timidamente in maniera approssimativa e senza adeguata approfondita motivazione.
Per richiedere una piattaforma di trattativa è necessaria innanzi tutto un’analisi del mercato e della situazione in cui la categoria si trova ad operare.
Nella attuale realtà europea emergono esigenze, comportamenti e regole nuove alle quali è necessario adeguarsi per restare sul mercato.
- La difesa dei minimi, la lotta al patto di quota lite, il contrasto alla pubblicità professionale, la contrarietà alle associazioni professionali multidisciplinari mal si conciliano con la realtà che si presenta nel nuovo scenario internazionale in cui ampia è la presenza di Studi stranieri. Questi, con nuovi approcci alle modalità di prestazione dei servizi legali, impongono con forza la loro presenza sul mercato globale, di cui il nostro orticello è venuto a far parte.
Nell’immaginario collettivo la difesa di principi non più attuali può quindi apparire una lotta ad oltranza di veri o presunti privilegi acquisiti, snaturando il senso stesso della protesta e suscitando più antipatie che consensi.
- Nella mozione si fa menzione del ruolo del professionista-avvocato. Ma appare solo un accenno alla funzione sociale dell’Avvocatura il cui compiuto riconoscimento deve portare ad una richiesta forte di un’area di competenze da individuare come riservata ai giureconsulti perché è nell’interesse della collettività stessa che tali competenze vengano valorizzate, sia nella fase di difesa, che nella fase di prevenzione dei conflitti. Essenzialmente in queste due fasi va visto il ruolo dell’Avvocatura come categoria professionale capace di assicurare la legalità diffusa. Ma tale richiesta di riconoscimento di competenze riservate non è chiaramente espressa.
- Troppo timido, poi, l’accenno alla Magistratura onoraria. Se oltre il 50% dei nuovi processi civili ricade nella competenza dei giudici onorari, agli stessi va riconosciuta dignità ordinamentale con partecipazione ad ogni livello, anche di C.S.M., all’organizzazione della Magistratura con adeguata collocazione sistematica proprio nelle norme dell’ordinamento giudiziario. Per evitare che si attesti in un precariato sottopagato, nemico della migliore qualità, e diventi invece anche una fucina per la formazione e l’accesso di avvocati ai concorsi per nuovi Magistrati togati, arricchendone la categoria con persone che abbiano esperienza di vita e, quindi, migliori capacità di giudicarla.
- Ancora più timida la richiesta di una diminuzione dell’aliquota IVA sulle parcelle.
Il problema è molto più vasto e va inquadrato nel dovere dello Stato di rendere giustizia.
E da questo dovere, posto nell’interesse della collettività lo Stato non può trarne fonte di guadagno, rientrando nei suoi compiti essenziali.
Riguarda sia l’IVA, sia l’imposta di registro sugli atti giudiziari. Quest’ultima si riferisce ad atti che certamente non costituiscono un indice di capacità contributiva, richiesta per l’applicazione di imposte, né un servizio con controprestazione, presupposto per l’applicazione di una tassa, dato che il render giustizia appartiene ad uno degli obblighi fondamentali dello Stato, finalizzato all’attuazione di diritti soggettivi e controbilanciato dall’esistenza del divieto della giustizia privata, il cui esercizio costituisce solo e soltanto un dovere.
Non sono tanto visionario da non comprendere che in questo momento non ci sono le condizioni per ottenere una immediata e completa esenzione da IVA delle prestazioni svolte dall’Avvocatura, anche se la difesa della libertà o dei diritti civili non è da meno alla cura del raffreddore, attività esentata da imposizioni per la sua rilevanza sociale.
Ma il problema dell’imposizione tributaria sui servizi resi per la giustizia non può ulteriormente essere trascurato ed è dovere proprio dell’Avvocatura porlo nella sua interezza.
Il dibattito su tali argomenti si è già ampiamente sviluppato in altri paesi della stessa Comunità Europea (cfr. Francia e Germania).
Non è nuovo neppure in Italia. «La giustizia, standosi al rigore dei principii, esser debbe gratuita; è il primo e più sacro debito dell’autorità sociale». Così nel commentario Mancini-Pisanelli-Scialoia del codice di procedura civile per gli Stati sardi del 1855! Ed ancora in Riv. dir. finanz., 1937, 359, Einaudi ebbe a scrivere: «Come le spese della difesa nazionale e della sicurezza pubblica, la spesa della giustizia è tipica di quelle che debbono essere ripartite con l’imposta su tutti, perché non si conosce chi ne sia avvantaggiato in modo particolare e in quale misura ... Al litigante non è logico far pagare qualcosa (tassa, in qualunque modo congegnata, di bollo o di registro o altra) in aggiunta alle imposte che egli già pagò, come cittadino, per mettere in grado lo Stato di esercitare l’ufficio suo».
Pare invece rimasto un fatto episodico ed isolato l’obiettivo irrinunciabile della defiscalizzazione dei processi e la tendenziale gratuità della giustizia riaffermato (molto timidamente e senza sufficiente rilievo) nel documento conclusivo della conferenza nazionale dell’avvocatura italiana tenutasi a Pisa dal 4 al 6 dicembre 1998.
- Anche l’ordinamento professionale richiede che sia assicurata l’indipendenza dell’Avvocato dal Cliente, l’accesso mirato fin dall’inizio degli studi universitari. Mentre sul secondo punto vi è una chiara presa di posizione, l’altro problema non è affatto percepito. Sussistendo con l’attuale legge professionale l’incompatibilità dell’esercizio della professione con ogni forma di lavoro subordinato. Anche quando questo si svolge alle dipendenze di altro Avvocato o di associazioni di Avvocati. Ostacolando ogni possibilità per i Professionisti di investire in “menti” e crescere, come è consentito in altre realtà che da tali condizioni traggono vantaggio per crescere e schiacciare la concorrenza di chi non riesce ad approntare strutture adeguate alle nuove richieste del mercato. Aggiungasi che coniugando l’indipendenza dell’Avvocato dal Cliente con la necessità di individuare un’area di competenze professionali per gli iscritti all’albo vengono poste in discussioni categorie iscritte nel cosiddetto albo speciale, che non garantisce, con grave dubbio di legittimità, soprattutto l’indipendenza dell’attività di difesa processuale. Attività da affidare in tali casi all’Avvocatura dello Stato, che tale indipendenza meglio garantisce, nella quale potranno eventualmente trovare collocazione parte degli iscritti all’albo speciale.
- Restando nell’ambito dell’ordinamento professionale non si può sorvolare su una richiesta di ampliamento delle sfere di azione, anche nell’ottica del “cittadino consumatore” (oltre che per tutelare una categoria che ormai scoppia per numero). Se si vuole promuovere liberalizzazione perché non consentire all’Avvocato di autenticare la firma del proprio Cliente su un atto negoziale redatto per conto dello stesso?
- Questi aspetti non hanno una chiara individuazione nelle mozioni Congressuali.
Né forte coerente e prevalente presa di posizione nelle motivazioni dell’astensione.
E’ evidente che la Categoria tutta ne deve prima avere chiara consapevolezza per poter poi avanzare le sue rivendicazioni.
- Se tale consapevolezza manca è anche colpa di tutte le Associazioni adagiate su minimale partecipazione, stante la sproporzione tra numero di aderenti alle Associazioni e componenti una categoria che ha superato i 170.000 iscritti. Concentrandosi su una pur apprezzabile elaborazione sistematica finiscono per relegarsi in una sfera dalla quale non colgono, o non sanno cogliere, gli aspetti più mobilitanti, necessariamente concreti e più direttamente sentiti quali ostacoli dalla categoria. Conseguentemente non riescono ad acquisire un consenso diffuso che provochi anche partecipazione attiva.
E’, quindi, necessario che si svolga prima un migliore confronto all’interno della categoria tutta, perchè acquisti consapevolezza dei problemi, li senta “suoi” e si mobiliti per riaffermarli. Superando l’isolamento delle Associazioni con il diretto continuo e coordinato confronto tra le stesse. Poi è necessario proporre, con gradualità e non in maniera alluvionale, azioni concrete e possibili, che sappiano provocare la condivisione anche della collettività e, quindi, anche la mobilitazione di tutti.
Lo so. Sono vecchio (almeno anagraficamente) e mi ripeto.
Ma non è vana la ripetizione se produrrà consapevolezza e riflessione, almeno di uno.
Si svecchino almeno le idee, visto che, rivedendo la scarsa affluenza alle Assemblee, pare non si sia ancora riusciti a svecchiare chi le esprime.
Silvano Salani

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